appunti di ricerca a cura di Elena Righetto
Nel corso del II e I secolo a.C. l’assetto poleografico dell’Italia nord-orientale mutò e si differenziò infatti un buon numero di abitati mantennero anche in epoca romana quella stessa importanza sociale e politica che avevano precedentemente pur evolvendosi nell'urbanistica. I principali insediamenti attivi nella piena età del Ferro, in buona parte ‘castellieri’ con cinta a terrapieno o con muratura a secco, hanno origine infatti o nel Bronzo recente o nel Bronzo finale. Durante la romanizzazione, le località divennero sede di fora, vici e castella, alcuni dei quali destinati a conseguire col tempo la piena autonomia territorio veneto, coinvolto tra II e I secolo a.C. nel grande programma di realizzazione di viae publicae, come l’Annia, la Postumia, la Popilia. L'utilizzo convenzionale del termine ‘romanizzazione’ per definire un periodo compreso tra il 225 a.C. e il 49 o 42 a.C., intende il periodo compreso tra la guerra gallica e gli anni che videro la completa estensione della cittadinanza alle popolazioni ancora provinciali della Gallia Cisalpina e l’annessione di questa all’Italia Si intende, infatti, per ‘romanizzazione’ l’integrazione tra le popolazioni indigene e i Romani esito di un complesso processo di carattere militare, politico-istituzionale, economico e culturale che si attuò secondo modalità piuttosto diversificate 1
L’istituzione di culti e la monumentalizzazione o la creazione ex-novo di nuovi luoghi sacri si configurò, come il più potente veicolo dei messaggi ideologici e culturali promossi dal potere politico. La ricerca archeologica analizza il rapporto tra strutture e/o spazi del sacro e rituali dei singoli culti, consentendo così di attribuire con maggiore facilità materiale votivo e ambienti santuariali a specifici riti. Tuttavia non sempre è possibile ricavare da un nome in lingua non latina l’eventuale corrispettivo romano o cogliere appieno la personalità di una divinità indigena della quale si conosce solo il nome latino. Importante è anche l'analisi della distribuzione spaziale dei santuari; l’edilizia sacra era, infatti, parte integrante della pianificazione urbana e rivestiva un significato politico e sociale, oltre che religioso, di primaria importanza. Ogni santuario aveva la sua funzione, la sua specificità e particolarità d'utilizzo. I santuari e i luoghi di culto non erano tutti uguali fra loro e assumevano diverse funzioni. Fonti greche e romane descrivono i ‘luoghi di culto’ italici come inscindibilmente legati all’elemento naturale, sia esso un monte, un lago, un bosco etc.; raramente, e perlopiù incidentalmente, l’attenzione è rivolta alle strutture permanenti e agli edifici di culto e nel Veneto preromano con ‘santuario’ o ‘luogo di culto’ si intende uno spazio strutturato, o definito da cippi confinari. Con i termini «stipe votiva, complesso votivo, deposito votivo», insiemi di oggetti la cui deposizione può essere o meno unitaria. Per Capuis 1993, pp. 86-87, invece, sarebbe preferibile adottare ‘stipe votiva’, come risultato di un atto di culto unitario, mentre ‘deposito’ o ‘complesso votivo’, come testimonianza di offerte reiterate nel tempo e quindi indicative di un vero e proprio ‘luogo di culto’, o di un accumulo intenzionale di votivi, e dunque in qualche modo equivalente a favissa. L’uso ambiguo del termine ‘deposito’, ha costretto a distinguere, in un recente contributo dedicato al santuario altinate di Fornace, tra deposito rituale, inteso come «seppellimento dei resti di un sacrificio (…) uniti a quelli dei manufatti usati per il rito», deposito votivo, «seppellimento di un complesso di materiali offerti come atto di devozione alla divinità», fossa di scarico, «seppellimento definitivo di materiale eterogeneo, originariamente esposto nello spazio sacro, quindi un deposito secondario esito di periodiche attività di manutenzione»,. 2 Anche in epoca di avvenuta romanizzazione e conseguente costruzione monumentale, i luoghi di culto veneti non raggiunsero mai esiti architettonici rilevanti per il permanere di forme di religiosità legate al mondo naturale, in cui gli elementi paesaggistici costituivano i limiti dell’area sacra, o all’atteggiamento di ‘conservazione’ identitaria proprio dei Veneti e ad una sorta di riluttanza a farsi influenzare dalla vicina area etrusco-padana.
Alcuni sporadici esempi di divinità e assimilazioni
Bonae- Menti / Atamenti: da due rilevanti documenti epigrafici aquileiesi, datati, per le caratteristiche paleografiche, tra la fine del II e gli inizi del I secolo a.C., riportano in un caso la formula Bonai/Menti e nell’altro il teonimo Atamenti. Frutto dell’associazione tra il prefisso qualitativo celtico ata- e il sostantivo mens. S Considerato che il più antico ambito di competenza religiosa di Mens era quello legato al metus punicus e gallicus della guerra annibalica, si è ritenuto altamente probabile che la divinità fosse chiamata, dalla comunità aquileiese, a garanzia di protezione dall’imminente ‘pericolo gallico’.
Altno – Altino – Giove : Nell'area santuariale dell'emporio di Altino è stato ritrovato un frammento di iscrizione marmorea, con riferimento a Giove, datata, su base paleografica, alla prima metà del I secolo d.C. L’iscrizione non solo confermerebbe l’avvio di un processo di monumentalizzazione della struttura templare nella prima età imperiale, ma anche un mutamento nella titolarità stessa del complesso, ovvero da Altno-Altino a Giove anche se il momento preciso in cui avvenne il passaggio dalla divinità indigena altinate al leader del pantheon romano rimane ignoto.
Belatukdro: Belenus altinate, Beleno, dio di sostrato e legato alla sanatio, come Ercole
Ecate, Reitia, Libera/Kore, Artemide, Hera : I dischi bronzei rinvenuti nel Veneto orientale (Montebelluna, Musile di Piave, Paderno di Ponzano Veneto) recano incisa una figura femminile ammantata di profilo a sinistra, clavigera, circondata da animali sacri quali il lupo o l'oca e elementi decorativi floreali. I dischi bronzei si dividono in due serie: quelli con la dea clavigera e quelli con figure maschili/militari e la zona geografica interessata dai rinvenimenti è quella posta tra la pianura medio-alta del Veneto orientale, con epicentro a Padova, l’area lagunare e la valle del Piave. Questo comparto territoriale, per l’accentuata presenza di ex-voto, bronzetti, dischi a soggetto muliebre, è stato definito come un «anomalo cuneo» di epifanie femminili, entro un’area connotata da una cultualità prevalentemente maschile. 3 Il disco non sarebbe un ex-voto ma una vera e propria immagine di culto da venerare in un santuario agreste o in un compitum. La presenza dei dischi votivi tra tarda età repubblicana e primo imperiale è stata variamente interpretata. Anche se non esclude la possibilità di una deposizione secondaria, Loredana Capuis propende per una produzione di tipo conservativo propria dell’artigianato votivo Veneto tra I secolo a.C. e I secolo d.C., quando pur ormai in fase di piena romanizzazione i Veneti vollero mantenere la propria dimensione identitaria anche con il ricorso a iconografie tradizionali. 4 5
Minerva: Altopiano carsico, Manerba sul Garda, Sirmione, Patavium, Este,
Ercole: Ercole nel forum pequarium di Aquileia, oracolo di Gerione a Montegrotto Terme
Aponus- Apollo : Abano- Montegrotto Terme (Aponus Thermae), Monte Altare
Tribusjiat/ Trumusjate/ Trimusiatei/ Icathein: Mercurio/ Hermes/ Ecate/ Apollo. Santuario di Lagole Calalzo di Cadore
Bona Dea: Tergeste (Trieste)
Dioscuri: Fonti del Timavo, Lagole, Este
Iside e Serapide: Trieste (chiesa di San Giusto)
Feronia, Nemesis: Aquileia
Reitia: Santuario di Este, Santuario di Patavium, tramutata in Minerva (Este) e Giunone (Padova), Montebelluna, Monte Altare
NOTE
2) Capuis, Gambacurta, Tirelli 2009, p. 40
3)Gambacurta, Capuis 1998, pp. 113-115,
Capuis 1999a, pp. 155, 160, 162, Capuis 2002, p. 246. 75 cfr.
Gambacurta, Capuis 1998, pp. 115-118.
4) Gambacurta, Capuis 1998, p. 113
5) Emanuela Murgia Culti e romanizzazione
Resistenze, continuità, trasformazioni Edizioni Università di
Trieste 2013
Gambacurta, Capuis 1998, pp. 113-115,
Capuis 1999a, pp. 155, 160, 162, Capuis 2002, p. 246. 75 cfr.
Gambacurta, Capuis 1998, pp. 115-118.