Con il passare degli anni si tende a ritornare alle proprie origini, a ricercare le radici, perchè in fondo esse sono il mezzo per ritrovare la nostra vera essenza...Yves Montand

lunedì 25 marzo 2024

25 marzo: Nascita di Venezia

 25 marzo: Nascita di Venezia – Annunciazione di Maria

Nella devozione dei nostri antichi predecessori, infatti, Venezia è consacrata a Maria e si identifica con essa, e secondo la tradizione cristiana il 25 marzo del 421 d.C, è il dies natalis di Venezia, cheè  nata sotto la protezione di Maria, allora coincidente con l’inizio dell’era cristiana e nel calendario giuliano dell’equinozio di primavera. Marin Sanudo nel “De origine, situ et magistratibus Urbisv enetiae” (1493-1530) così descrive tale ricorrenza:

“Venesia fo comensada a edificar…del 421, adì 25 Marso in xorno de Venare circha l’hora nonaa scendendo, come ne la figura astrologica apar, gradi 25 de el segno del Cancro. Nel cual xorno ut divinae testantur litterae fo formato el primo homo Adam nel principio del mondo par le mano de Dio; ancora in dito xorno la verxene Maria fo anunciata dal’anxolo Cabriel, et etiam el fiol de Dio,Cristo Jexù, nel sinfioratauo immacolato ventre miracolose introe, et secondo l’opinione teologica fo in cuel medesimo xorno da Xudei crucefiso”…

La Serenissima celebrava la festa con la Messa solenne dell’alba nella basilica di San Marco, collegata all’antica corrispondenza Vergine-Aurora come madre del Cristo-Luce, presente proprio nelle iscrizioni dei mosaici della basilica. Quindi con una processione Il Doge e la Signoria si recavano nella chiesa di S. Maria del Giglio dedicata all’Annunciazione. Nei giorni nostri Venezia celebra la ricorrenza della propria fondazione con l’omaggio dell’Infiorata alla statua della Madonna nel piazzale antistante alla stazione ferroviaria di S. Lucia. La devozione alla Madonna è rimasta inequivocabile, associazioni, scuole, confraternite, cittadini, enti pubblici e privati depongono mazzi di 


fiori ai piedi della madre di Gesù e della Venezia. Il patriarcato di Venezia celebra la ricorrenza con la preghiera dell' "Angelus" proprio ai piedi della statua della Madonna benedicendo i presenti ed i mazzi deposti. Da alcuni anni, inoltre, associazioni remiere veneziane partono dalla chiesa di S. Giacometo di Rialto (ritenuta la prima chiesa fondata nelle isolette di Riva Alta) e arrivano a rendere saluto alla Santa protettrice dei veneti cristiani.


Tratto da : Calendario tradizionale Veneto pagano - Elena Righetto - Intermedia Edizioni

giovedì 29 febbraio 2024

1 marzo : il Batàrmarso nella tradizione Veneta

Fonte immagine: Heredia.it

Per gli antichi Latini, ma in realtà per popoli italici, marzo era il mese dedicato a Mars, Marte, dio in origine fecondatore e protettore dei confini sacri, che si rivela battagliero nel momento in cui questi confini dovevano essere difesi e protetti. Era il dio fecondatore dunque delle messi e dell’energia maschile in quanto tale, l’inno antico lo chiama Marmor, “splendente e luccicante”, forza riproduttiva della natura primaverile, e “gradivus” “fecondatore della vegetazione” . Perché per i veneti era così importante l’idea di Mars/Mamor? I suoi animali sacri erano in realtà simili a quelli di Reitia e cioè il lupo e il cavallo (oltre al picchio) e la sua pianta sacra oltre al fico era la quercia, sacra anche a Ecate e Reitia. La quercia contiene dunque il fuoco del dio, e colline e boschetti colpiti dal fulmine venivano venerati e a volte diventavano santuari. Come Janus è anch’egli dio degli inizi, ma intesi come lo sbocciare delle cose, dai germogli primaverili alla pubertà, alle attività agricole e belliche che nel mondo antico iniziavano infatti proprio durante il mese di marzo. Era anche il condottiero delle “primavere sacre”, in cui i giovani in gruppo lasciavano le loro tribus per fondare altre città o gruppi stabili. In epoca tarda, Mars era associato con la dea Bellona cui nome deriva dal sostantivo “bellum” e cioè guerra e successivamente si fuse con una divinità orientale onorata attraverso danze estatiche e orgiastiche, i cui adepti entravano in uno stato “estatico” ed il loro tempio era chiamato “fanaticum” da cui il termine “fanatico”. Il primo marzo era considerato dunque il capodanno, il primo giorno dell’anno produttivo, agricolo, legale non solo a Roma antica ma anche per tutta la durata della Repubblica Serenissima. Inizialmente era fissato il 25 marzo giorno della fondazione di Venezia ma successivamente la data fu cambiata nonostante l’introduzione del calendario gregoriano, continuò a dividere l’anno in 10 mesi, tanto che nei documenti ufficiali le date riportavano la dicitura “more veneto”, cioè “secondo l’uso veneto”. Il “ciamar marso” il “bati marso” dunque è un’usanza praticata dai nostri avi e dai nostri nonni di totale retaggio pagano legato ai rituali come abbiamo visto, dedicati a Marte, alla Potnia Thèron Reitia/ Cybele per evocare il risveglio della natura e l’abbondanza dei frutti. Nel giorno prima del plenilunio che si manifestava dopo il primo di marzo un uomo vestito di pelli, chiamato Mamurio Veturio (il vecchio Marte), che significava il marzo dell'anno precedente era cacciato fuori della città a bastonate. In questa festa avveniva un vero e proprio “fidanzamento pubblico” proprio come durante le calende di marzo in epoca romana e si può supporre che in seguito si siano associati i cosiddetti maridozi, probabilmente perché erano un po' di conseguenza di quest'esplosione giovanile. Consistevano in grida di proposte in burlesco di abbinamento matrimoniale, sempre la sera del primo marzo, sotto la casa delle giovani da marito. Anche nel veronese a tradizione vuole che ci si trovasse all’imbrunire, in due o più gruppi, in luoghi prestabiliti, accompagnati dal frastuono di trombe, corni, barattoli e anche dallo sparo di fucili per scambiarsi alternativamente cantilene e filastrocche che prendevano in giro personaggi noti del paese, costruendo improbabili coppie e altrettanto impensabili matrimoni, fra impenitenti scapoli e zitelle, ma anche fra vedovi e giovani ragazze. Il rito esorcizzava la cacciata dei demoni e propiziare una nuova e feconda stagione, occasione per invitare le ragazze in età da marito a rompere gli indugi e scegliere il futuro sposo con cui metter su famiglia. Immaginazione e spirito goliardico creano accostamenti improponibili e del tutto inventati per provocare. Dunque il batar marso veneto avveniva esattamente come un rituale pagano compiuto dai bambini che correvano per la città di Venezia e per i paesi dell’entroterra battendo violentemente pentole, piatti, “bussolotti”, lamiere per fare più rumore possibile e ridestare la natura dal suo torpore invernale. In campagna si usavano i vecchi vomeri degli aratri appesi sui rami delle piante o sui filari nei campi, ricordo degli “oscilla” paleoveneti, le offerte appese appunto alle fronde, e venivano percossi rumorosamente al grido di “Bati fora marso, che aprìl xe qua!” In alcune zone rurali, l'ultima sera di febbraio: gli osadori (urlatori) partono da punti diversi del paese e in corteo, sbattendo pentole, bidoni e coperchi, convergono in piazza, dove attendono le autorità. "...par svejar fora i spirìti de la tera e farghe corajo a la rinàssita de la natura, cantando e sonando, so 'l finir de febraro che xe in ùltima l'inverno.... ...vegnì fora gente, vegnì in strada a far casoto, a bàtare marso co' racole, sbàtole, ranéle, bandòti, cerci, tece e pegnate....vegnì, gente.” . . 


 TRATTO DA : CALENDARIO TRADIZIONALE VENETO PAGANO DI ELENA RIGHETTO

Copyright 

domenica 11 febbraio 2024

La stregoneria Veneta: Introduzione del libro" Folklore e magia popolare del Veneto"

 Il credere nelle streghe comporta un’interpretazione necessaria che non può essere relegato alla mera superstizione o liquidato come credenze di contadini ignoranti e ubriaconi. 

In questa sede d’analisi non ci si soffermerà nel tentativo di dimostrare o meno l’esistenza delle streghe in quanto donne e uomini dotati di effettivi ed efficaci “poteri magici” ma attraverso lo studio comparato di documenti d’archivio e testimonianze orali raccolte dall’autrice in quindici anni di ricerca sul campo, si tenterà di dipingere nella maniera più appropriata possibile, la figura della striga veneta. Per fare ciò è necessario prendere in esame la complessità degli elementi culturali e folkloristici che hanno nei secoli, contribuito alla creazione della figura della strega, partendo dalle rimanenze pagane delle antiche religiosità presenti nel territorio (si veda  a tal proposito sempre dell’autrice “Divinità, rituali e magia nell’antico Veneto”, e “Calendario tradizionale veneto pagano”,  Intermedia Edizioni, 2022). 

Negli anni vi sono stati pochi autori e ricercatori di spessore che si sono cimentati in quest’impresa frammentaria riguardo il territorio del Veneto e la tematica non è stata ulteriormente approfondita negli ultimi trent’anni circa. Vi sono numerosissimi testi che raccontano pittoresche leggende venete e veneziane aventi come protagonisti strighe e strigoni,  altresì modo è presente una sconfinata letteratura mondiale e italiana dedicata alla tematica stregonesca più o meno pratica o storiografica per poter approfondire gli argomenti trattati che più interessano in macro spettro. 

Quest’opera s’impegna a raccontare in maniera chiara e precisa la realtà stregonesca nelle terre del Veneto, dalle montuose zone Cadorine al Vicentino e al Veronese, passando per campagne e zone rurali sino alle strette calli di Venezia, senza aver la presunzione di illustrare un completo quadro del fenomeno  in quanto estremamente ampio e diversificato in ogni sua accezione locale e paesana. Si è pertanto deciso di operare tramite analogie e punti in comune che unissero le diverse leggende e i racconti di testimonianze orali in modo tale da avere una sorta di linea guida endemica e specifica, applicabile alla maggior parte dei racconti regionali, in modo che non vadano perduti nell’abisso della storia locale e bistrattate come semplici baggianate. Si è preferito anche lasciare m

olte terminologie in lingua veneta originale senza porre una traslitterazione italiana per evitare fraintendimenti o errori interpretativi. Si è scelto pertanto di riportare rari esempi di leggende e racconti popolari, non solo perché già ampiamente trattati da altri autori, ma soprattutto per “ascoltare” direttamente la voce delle “strighe” attraverso testimonianze orali più recenti e l’analisi di numerosi documenti processuali che restano l’unico momento in cui “sentiamo le streghe parlare” in prima persona, perché nelle interviste e nei racconti orali vi è sempre un “sentito dire”, un racconto tramite terzi. 

-F.Bussola -
Per Coven Venice Project e Elena Righetto

Le pratiche di “strighéria” veneta non sono scomparse nella
nostra età contemporanea, ma sono tramandate gelosamente e custodite con segreta perizia da persone che si potrebbero definire “comuni”. Un “mago” o un guaritore è disposto a rivelare qualche piccolo segreto esiste, ma non si troverà mai una “striga” disposta a rivelare in maniera essoterica il suo sapere esoterico. Farlo, infatti, comporterebbe la perdita dei suoi “poteri”, della sua affidabilità e delle sue azioni, non avrebbe più la capacità di poter agire. Per tradizione queste “strighe” sono legate da segreti arcaici e trasmettono la loro conoscenza pratico-magica solamente al momento della loro morte a una persona da solo scelta per intraprendere questo “cammino iniziatico”. I “pignatèi”, in altre parole l’insieme degli strumenti e delle conoscenze magiche, sono è lasciati in eredità a chi e ritenuta più idonea e pronta a ricevere il peso di questo bagaglio millenario. Vi sono persone esperte in “strigàrie” che hanno confidato all’autrice rimedi, fatture e contro-fatture usate sapendo bene che “chi sa fare sa anche disfare”. Essendo queste informazioni state confidate all’autrice nel rispetto del “segreto”, ne è stata anche vietata la pubblica divulgazione con qualsiasi mezzo, pertanto si è scelto di rendere pubblico ciò che è stato concesso dalle persone intervistate.

Che le strighe esistano o siano esistite quindi non è il punto focale di quest’opera bensì prendere atto della loro reale importanza sociale che per secoli è stata presente nella storia e nella cultura del Veneto. Sono esistite, invece e ancora continuano a esserci persone che attribuiscono ad altri la colpa e la ragione di ciò che accade: più inspiegabile appare, più è certo, secondo molti, il complotto, lo zampino di quello, quel diverso, quello “strano”. Dato che la caccia alle streghe è un fenomeno che attraversa trasversalmente la storia, riapparendo ciclicamente con nomi diversi, è opportuno trattarla come un fatto storico e come tale esaminarla, seppur brevemente, nelle sue caratteristiche principali: comprendendone le dinamiche, infatti, è possibile impedirne razionalmente il rischio di sostenerne una, sotto qualunque nome, etichetta, bandiera essa sia propagandata. Si raccomanda pertanto nell’approcciarsi a quest’opera di adeguarsi alla mentalità comune contadina e antica, che si basava sul semplice concetto dicotomico del bene e del male come entità contrapposte e in continua lotta fra loro, senza addentrarci in situazioni teologiche o filosofiche che sarebbero sicuramente fuori luogo. Il primigenio mito della natura “madre e benigna” in cui la morte di ogni essere vivente avviene per vecchiaia naturale si scontra con la realtà quotidiana, violenta, spesso inspiegabile. Secondo il ragionamento “popolare” vi sono due tipologie di “disgrazie”: comuni e universali per l’intera società (carestie, siccità, epidemie ecc.) e le private individuali, ascritte nell’ambito familiare o di paese e in questa tipologia di società/mentalità, l’ammettere di essere colpiti dal castigo divino significava ammettere di essersi macchiati di colpe orride agli occhi dell’intera comunità. Dato che la casualità non esiste, bisognerà quindi trovare la causa del male, un evento maligno proveniente dall’esterno della mia persona e per scovarlo ecco il ricorso alla scienza, all’intervento dei preti e all’utilizzo dei rimedi tramandati agli avi.

Già il mondo pagano aveva e conosceva le sue streghe: streghe (da stryx, strige, un uccello notturno simile a un vampiro) erano dette le donne accusate di succhiare il sangue ai bambini, di ucciderli o di ostacolarne la nascita. Streghe erano le Arpie, divinità degli Inferi, streghe sono state considerate le Gorgoni, la cui sede era presso l’estremo limite dell’occidente, là dove tramontava il sole e dove si credeva avesse inizio il regno dei morti. Evidentemente, quindi, sin dall’antichità l’essere umano nel mondo occidentale ha avuto bisogno di raffigurare in un’immagine concreta, in una figura precisa, con nome e fattezze riconoscibili, ciò che per sua natura non è né chiaro, né noto, né dominabile: insomma, ciò che è diverso e che, per questa ragione, fa paura. In età cristiana medievale, la Chiesa cattolica combatté le eresie soprattutto nei secoli XII-XIV e molto spesso le persecuzioni scatenate contro gli eretici o i non cattolici sono uniti a persecuzioni nei confronti di coloro che si crede abbiano rapporti col mondo delle streghe e soprattutto del diavolo. La convinzione che le streghe esistessero ha permesso di eliminare quelle persone "irregolari" che erano considerate pericolosissime per il potere politico e religioso.  Nell’immaginario collettivo si ritiene che la caccia alle streghe sia stata un fenomeno concernente, il Medioevo. Tuttavia il momento più virulento di quest’orribile realtà si ebbe tra la seconda metà del XVI secolo fino alla fine del XVI, in piena età moderna. L’esplosione di questo fenomeno quindi, pur avendo radici profonde, trova una ragione nelle trasformazioni sociali dell’era moderna e permette, attraverso lo studio della storia, una spiegazione razionale dei suoi meccanismi.

-F.Bussola -
Per Coven Venice Project e Elena Righetto

Dobbiamo ricordare che è la donna, tradizionalmente, a essere vicina al mondo agricolo: infatti, l’antropologia ci ha insegnato che è stata la donna la scopritrice, se così si può dire, dell’agricoltura. Mentre l’uomo era a caccia, la donna preistorica restava a guardia della grotta (o della casa, o della capanna), allevando i figli e osservando i cicli vitali delle erbe e dei semi che crescevano attorno a quel primitivo nucleo umano. Così, stagione dopo stagione, secolo dopo secolo, la donna più dell’uomo conosce il ciclo vegetativo e sa riconoscere le erbe buone da quelle cattive. Questa conoscenza – che giunge a metterla in contatto anche con erbe dalle qualità singolari (venefiche, psicotrope, allucinogene) arricchisce il bagaglio sapienziale della donna guaritrice. Durante il feudalesimo, le società contadine vivevano in condizioni terribili e i medici che sono uomini dotti (le cui pratiche sfiorano spesso l’ambito della magia) sono consultati e pagati solo dai ricchi, che possono permetterseli. Le donne, le “mammane” le “strighe” e le “herbane” e le ostetriche curavano i poveri, i paesani, le persone comuni e i contadini con rimedi erboristici efficaci che la “cultura popolare e orale” avevano tramandato e perfezionato per millenni.  

Ci fu un passaggio che portò la figura della guaritrice e della donna di medicina a diventare pericolosa e diabolica. Spesso accadeva che un trattamento fallisse o semplicemente che in questa categoria di persone si cercasse di riversare tutta la frustrazione in caso di problematiche irrisolvibili. Considerate le condizioni igieniche e sanitarie del tempo, la possibilità si è fatta frequente e molto comune: se cominciano a morire alcuni bambini dei vitelli o degli altri animali e a seccarsi diverse piante, ecco che una ragione ci deve essere, magari, perché quella “strega” (quella diversa, quella strana, quella là, quella che vive lontano da noi) ha gettato il malocchio. Il punto di riferimento contro queste avversità è la Chiesa che, non a caso, si fa particolarmente attenta alle donne che non sono inquadrabili nel costume sociale dell'epoca: le zitelle, le anticonformiste, le donne sole, le donne che abitavano fuori dal villaggio. La donna ritenuta "strega" è colei che è tanto vicina ai misteri della vita da provare anche ad avvicinarvisi, risolvendo, anche solo momentaneamente, il dolore fisico: e questo potere non è accettabile, dalla Chiesa medievale che proclama il dolore fisico come passo che avvicina alla sofferenza di Cristo. Il XIV secolo fu difficile, fatto di grandi cambiamenti, oltre alla frattura interna alla Chiesa, fu il secolo della grande crisi e nella crisi occorre sempre trovare un capro espiatorio, che assuma in sé tutto il peso, tutta la colpa del cambiamento. Faceva comodo credere all'esistenza delle streghe tanto quanto il fatto che esista la credenza nel loro diabolico e sovrumano potere. Il Malleus maleficarum è il "martello delle streghe": è lo strumento con cui gli inquisitori terrorizzati dalla propria impotenza sperano di domare i moti popolari che hanno staccato un’intera fetta di cristianità (l’Europa centrosettentrionale e l’Inghilterra) alla Chiesa cattolica.

Il territorio del Veneto tuttavia presenta delle caratteristiche particolari, che saranno approfondite in corso d’opera, per cui la presenza del governo della Serenissima Repubblica (da sempre avverso alle mire di potere della Santa Sede) mitigò drasticamente le punizioni e le persecuzioni contro le streghe o presunte tali. Questo non accanimento nei confronti di una vasta parte di credenze popolari portò paradossalmente a una progressiva scomparsa graduale della figura della pericolosa strega o del diabolico stregone, relegandone l’ambito di attività ad aspetti marginali della società: alla Serenissima importava solamente che queste pratiche non andassero a intaccare la sicurezza e l’integrità dello Stato.


CONTINUA A LEGGERE QUI: 
FOLKLORE E MAGIA POPOLARE DEL VENETO 


Il materiale pubblicato è legalmente protetto e registrato con i Diritti d'autore. Non copiare. 

giovedì 29 giugno 2023

DIVINITA' VENETE E ROMANE, IL PASSAGGIO CULTURALE

                                                 appunti di ricerca a cura di Elena Righetto 

Nel corso del II e I secolo a.C. l’assetto poleografico dell’Italia nord-orientale mutò e si differenziò infatti un buon numero di abitati mantennero anche in epoca romana quella stessa importanza sociale e politica che avevano precedentemente pur evolvendosi nell'urbanistica. I principali insediamenti attivi nella piena età del Ferro, in buona parte ‘castellieri’ con cinta a terrapieno o con muratura a secco, hanno origine infatti o nel Bronzo recente o nel Bronzo finale. Durante la romanizzazione, le località divennero sede di fora, vici e castella, alcuni dei quali destinati a conseguire col tempo la piena autonomia territorio veneto, coinvolto tra II e I secolo a.C. nel grande programma di realizzazione di viae publicae, come l’Annia, la Postumia, la Popilia. L'utilizzo  convenzionale del termine ‘romanizzazione’ per definire un periodo compreso tra il 225 a.C. e il 49 o 42 a.C., intende il periodo compreso tra la guerra gallica e gli anni che videro la completa estensione della cittadinanza alle popolazioni ancora provinciali della Gallia Cisalpina e l’annessione di questa all’Italia Si intende, infatti, per ‘romanizzazione’ l’integrazione tra le popolazioni indigene e i Romani esito di un complesso processo di carattere militare, politico-istituzionale, economico e culturale che si attuò secondo modalità piuttosto diversificate 1

L’istituzione di culti e la monumentalizzazione o la creazione ex-novo di nuovi luoghi sacri si configurò, come il più potente veicolo dei messaggi ideologici e culturali promossi dal potere politico.  La ricerca archeologica analizza il rapporto tra strutture e/o spazi del sacro e rituali dei singoli culti, consentendo così di attribuire con maggiore facilità materiale votivo e ambienti santuariali a specifici riti. Tuttavia non sempre è possibile ricavare da un nome in lingua non latina l’eventuale corrispettivo romano o cogliere appieno la personalità di una divinità indigena della quale si conosce solo il nome latino.   Importante è anche l'analisi della distribuzione spaziale dei santuari; l’edilizia sacra era, infatti, parte integrante della pianificazione urbana e rivestiva un significato politico e sociale, oltre che religioso, di primaria importanza. Ogni santuario aveva la sua funzione, la sua specificità e particolarità d'utilizzo. I santuari e i luoghi di culto non erano tutti uguali fra loro e assumevano diverse funzioni. Fonti greche e romane descrivono i ‘luoghi di culto’ italici come inscindibilmente legati all’elemento naturale, sia esso un monte, un lago, un bosco etc.; raramente, e perlopiù incidentalmente, l’attenzione è rivolta alle strutture permanenti e agli edifici di culto e nel Veneto preromano con ‘santuario’ o ‘luogo di culto’ si intende uno spazio strutturato, o definito da cippi confinari. Con i termini «stipe votiva, complesso votivo, deposito votivo», insiemi di oggetti la cui deposizione può essere o meno unitaria. Per Capuis 1993, pp. 86-87, invece, sarebbe preferibile adottare ‘stipe votiva’, come risultato di un atto di culto unitario, mentre ‘deposito’ o ‘complesso votivo’, come testimonianza di offerte reiterate nel tempo e quindi indicative di un vero e proprio ‘luogo di culto’, o di un accumulo intenzionale di votivi, e dunque in qualche modo equivalente a favissa. L’uso ambiguo del termine ‘deposito’, ha costretto a distinguere, in un recente contributo dedicato al santuario altinate di Fornace, tra deposito rituale, inteso come «seppellimento dei resti di un sacrificio (…) uniti a quelli dei manufatti usati per il rito», deposito votivo, «seppellimento di un complesso di materiali offerti come atto di devozione alla divinità», fossa di scarico, «seppellimento definitivo di materiale eterogeneo, originariamente esposto nello spazio sacro, quindi un deposito secondario esito di periodiche attività di manutenzione»,. 2 Anche in epoca di avvenuta romanizzazione e conseguente costruzione monumentale, i luoghi di culto veneti non raggiunsero mai esiti architettonici rilevanti per il permanere di forme di religiosità legate al mondo naturale, in cui gli elementi paesaggistici costituivano i limiti dell’area sacra, o all’atteggiamento di ‘conservazione’ identitaria proprio dei Veneti e ad una sorta di riluttanza a farsi influenzare dalla vicina area etrusco-padana.

Alcuni sporadici esempi di divinità e assimilazioni 


Bonae- Menti / Atamenti: da due rilevanti documenti epigrafici aquileiesi, datati, per le caratteristiche paleografiche, tra la fine del II e gli inizi del I secolo a.C., riportano in un caso la formula Bonai/Menti e nell’altro il teonimo Atamenti. Frutto dell’associazione tra il prefisso qualitativo celtico ata- e il sostantivo mens. S Considerato che il più antico ambito di competenza religiosa di Mens era quello legato al metus punicus e gallicus della guerra annibalica, si è ritenuto altamente probabile che la divinità fosse chiamata, dalla comunità aquileiese, a garanzia di protezione dall’imminente ‘pericolo gallico’. 

Altno – Altino – Giove : Nell'area santuariale dell'emporio di Altino è stato ritrovato un frammento di iscrizione marmorea, con riferimento a Giove, datata, su base paleografica, alla prima metà del I secolo d.C. L’iscrizione non solo confermerebbe l’avvio di un processo di monumentalizzazione della struttura templare nella prima età imperiale, ma anche un mutamento nella titolarità stessa del complesso, ovvero da Altno-Altino a Giove anche se il momento preciso in cui avvenne il passaggio dalla divinità indigena altinate al leader del pantheon romano rimane ignoto.

Belatukdro: Belenus altinate, Beleno, dio di sostrato e legato alla sanatio, come Ercole 

Ecate, Reitia, Libera/Kore, Artemide, Hera : I dischi bronzei rinvenuti nel Veneto orientale (Montebelluna, Musile di Piave, Paderno di Ponzano Veneto) recano incisa una figura femminile ammantata di profilo a sinistra, clavigera, circondata da animali sacri quali il lupo o l'oca e elementi decorativi floreali. I dischi bronzei si dividono in due serie: quelli con la dea clavigera e quelli con figure maschili/militari e la zona geografica interessata dai rinvenimenti è quella posta tra la pianura medio-alta del Veneto orientale, con epicentro a Padova, l’area lagunare e la valle del Piave. Questo comparto territoriale, per l’accentuata presenza di ex-voto, bronzetti, dischi a soggetto muliebre, è stato definito come un «anomalo cuneo» di epifanie femminili, entro un’area connotata da una cultualità prevalentemente maschile.  3 Il disco non sarebbe un ex-voto ma una vera e propria immagine di culto da venerare in un santuario agreste o in un compitum. La presenza  dei dischi votivi tra tarda età repubblicana e primo imperiale è stata variamente interpretata. Anche se non esclude la possibilità di una deposizione secondaria, Loredana Capuis propende per una produzione di tipo conservativo propria dell’artigianato votivo Veneto tra I secolo a.C. e I secolo d.C., quando pur ormai in fase di piena romanizzazione i Veneti vollero mantenere la propria dimensione identitaria anche con il ricorso a iconografie tradizionali. 4 5

Minerva: Altopiano carsico, Manerba sul Garda, Sirmione,  Patavium, Este, 

Ercole: Ercole nel forum pequarium di Aquileia, oracolo di Gerione  a Montegrotto Terme

Aponus- Apollo : Abano- Montegrotto Terme (Aponus Thermae), Monte Altare

Tribusjiat/ Trumusjate/ Trimusiatei/ Icathein: Mercurio/ Hermes/ Ecate/ Apollo. Santuario di Lagole Calalzo di Cadore

Bona Dea: Tergeste (Trieste) 

Dioscuri: Fonti del Timavo, Lagole, Este

Iside e Serapide: Trieste (chiesa di San Giusto)

Feronia, Nemesis: Aquileia 

Reitia: Santuario di Este, Santuario di Patavium, tramutata in Minerva (Este) e Giunone (Padova), Montebelluna, Monte Altare


NOTE 

1) In area venetica è noto che una efficace romanizzazione si produsse già con l’alleanza del 225 a.C. tra Veneti, Cenomani e Romani. La proposta di un’alleanza tra Romani e Veneti già in atto intorno al 390 a.C. oggi è sostenuta da pochi. L’ipotesi si basa sull’interpretazione di un passo di Polibio (Plb. 2.18.3), secondo il quale i Galli di Brenno avrebbero abbandonato Roma per tornare a difendere le sedi padane attaccate dai Veneti, sul tema cfr. Bandelli 1985a, p. 18, nt. 33. Rapporti (forse veri e propri foedera) furono invece stabiliti con certezza nella seconda metà del III secolo a.C., intorno agli anni 238-236 a.C., quando l’esercito romano si trovò ad operare nei territori confinanti con quelli dei Cenomani e dei Veneti. A ciò conseguì la symmachia documentata per la guerra gallica del 225-222 a.C. e, probabilmente, attiva anche in occasione della resistenza annibalica. Da questo momento le relazioni tra Roma, Veneti e Cenomani si mantennero, almeno formalmente, buone, (cfr. Capuis 1998, p. 104 «pur in quel [apparente?] rapporto di amicitia»), con l’eccezione di due brevi crisi dei Cenomani (Plb. 2.23.2-3, Str. 5.1.9).

2) Capuis, Gambacurta, Tirelli 2009, p. 40

3)Gambacurta, Capuis 1998, pp. 113-115, Capuis 1999a, pp. 155, 160, 162, Capuis 2002, p. 246. 75 cfr. Gambacurta, Capuis 1998, pp. 115-118.

4) Gambacurta, Capuis 1998, p. 113

5) Emanuela Murgia Culti e romanizzazione Resistenze, continuità, trasformazioni Edizioni Università di Trieste 2013

Gambacurta, Capuis 1998, pp. 113-115, Capuis 1999a, pp. 155, 160, 162, Capuis 2002, p. 246. 75 cfr. Gambacurta, Capuis 1998, pp. 115-118.

lunedì 6 marzo 2023

CORSO di STORIA DELLE TRADIZIONI POPOLARI VENETE

 Il programma del corso si basa sullo studio storico dall' evoluzione dei culti pagani Venetico/romani alle festività della ruota dell'anno nella loro evoluzione nelle tradizioni cristiane del folklore popolare.
Durante la lezione vi verranno forniti i materiali utili per la lezione, altre volte invece seguiremo insieme delle slides riassuntive in power point. Alla fine del corso vi verrà fornito l'elenco bibliografico dei testi più importanti da leggere per approfondire le tematiche trattate.
ARGOMENTI
-Panoramica storica dei Veneti Antichi e passaggio alla romanizzazione.
- La religiosità pagana nel territorio del Veneto Orientale.
- Divinità e ritualità arcaiche.
- Dal paganesimo al cristianesimo: la mutatio deorum.
- Il passaggio dei rituali pagani alle tradizioni cristiane popolari.
- Le feste cristiane con origine pagana.
- Streghe ed esseri fantastici dell'immaginario nel folklore popolare.
In collaborazione con

INFO & ISCRIZIONI : righetto.elena@gmail.com